IL RUOLO DEL DIRETTORE RISORSE UMANE NELL’AZIENDA IMPRENDITORIALE

  1. Il Direttore Risorse Umane ieri e oggi
  2. L’azienda imprenditoriale
  3. Richelieu moderno

Parte I - Il Direttore Risorse Umane ieri e oggi

Qual è il ruolo del Direttore Risorse Umane? Si tratta di un tema molto dibattuto, fin da quando è stata creata questa funzione all’interno delle aziende.

Agli inizi la Direzione Risorse Umane veniva facilmente percepita come un costo, che poco contribuiva al fatturato e al rendimento dell’azienda. Con il passare del tempo questa visione si è progressivamente modificata fino al definitivo riconoscimento dell’importanza di una efficace direzione delle risorse umane per il successo della società.

Il ruolo del Direttore Risorse Umane è stato ufficializzato nelle grandi aziende nel corso degli anni ‘80 e ‘90, con una definizione puntuale delle funzioni da coordinare, degli obiettivi da perseguire e dei mezzi da utilizzare. Una abbondante letteratura è emersa nel corso di quel periodo, fornendo una intelaiatura teorica di supporto all’azione operativa del responsabile di funzione.

Questo quadro di riferimento ha cominciato ad essere messo in discussione a partire dagli anni 2000; da allora si è assistito ad una progressiva erosione delle fondamenta che hanno sostenuto la definizione del ruolo.

Allo stesso tempo cause e complici di questo processo sono stati: il susseguirsi di crisi economiche più o meno importanti (dalla bolla delle dot.com di Internet fino all’attuale crisi finanziaria e bancaria); e l’affermarsi della “globalizzazione” come ideologia dominante non solo in campo politico, ma anche in ambito economico.

La necessità di ridisegnare ripetutamente le organizzazioni, procedendo ad una riduzione (“down-sizing”) progressiva e continua degli organigrammi è una delle conseguenze di questo periodo di successive crisi economiche. Questo passaggio ha contribuito a trasformare il Direttore Risorse Umane nella figura di “tagliatore di teste”, pronto a sacrificare, in nome dell’efficienza aziendale, tutto e tutti; se necessario, anche sé stesso. A questo proposito sono illuminanti il felice romanzo di Massimo Lolli “Volevo solo dormirle addosso” e la sua trasposizione cinematografica dallo stesso titolo. Forse non tutti sanno che Lolli, oltre che scrittore, è lui stesso Direttore Risorse Umane in un importante gruppo imprenditoriale italiano.

La globalizzazione ha influito forse ancora più pesantemente nel rimettere in discussione il ruolo del capo funzione. Nelle grosse realtà multinazionali ed internazionali l’adozione dei dettami ideologici della globalizzazione ha significato l’abbandono del principio “think globally, act locally” a favore di un più sintetico “think and act globally”. Le filiali locali (italiane nel nostro caso) delle grosse multinazionali sono state progressivamente svuotate di potere decisionale. Oggi il Direttore Risorse Umane di una multinazionale è spesso il semplice esecutore di decisioni prese a migliaia di chilometri di distanza; decisioni su cui ha potuto esercitare una influenza estremamente ridotta. In altre parole l’affermazione del “Pensiero Globale” si è concretizzata nell’accentramento del potere decisionale a scapito del Direttore Risorse Umane locale. Quest’ultimo, oltretutto, si ritrova a dover convivere con le conseguenze di queste decisioni non condivise. In questa prospettiva le questioni più spinose sorgono spesso dall’applicazione del concetto di interscambiabilità. Nella logica della globalizzazione dipendenti di nazionalità diversa, di cultura diversa e residenti in paesi diversi sono in grado di svolgere lo stesso lavoro con gli stessi risultati. Diventa così “normale”, ad esempio, delocalizzare funzioni tipicamente “nazionali”, quali l’elaborazione delle buste paga, presso “Centri Servizi Interni” ubicati in Romania o in India. Sul Direttore Risorse Umane italiano ricade poi la responsabilità di spiegare a personale indiano o rumeno le complessità della contrattualistica italiana del lavoro, per non parlare dei continui aggiornamenti in materia. Contemporaneamente spetta sempre allo stesso Direttore Risorse Umane fronteggiare le lamentele del personale italiano per eventuali disservizi.

Per quanto riguarda le grosse multinazionali questo scenario non è destinato a mutare. Le preoccupazioni espresse da più parti sul ruolo che il Direttore Risorse Umane potrà ancora svolgere nelle grosse organizzazioni globalizzate sono, a mio parere, ampiamente giustificate.

Negli anni a venire le multinazionali avranno sempre meno bisogno di profili executive nelle Risorse Umane.

Piuttosto ci sarà sempre più spazio per professionisti molto operativi: manager più giovani dal punto di vista dell’esperienza professionale ma estremamente esperti in alcuni ambiti specifici (esempio: legislazione del lavoro; politiche di compensation; selezione; ecc.). A livello locale scomparirà la figura del regista che armonizza queste attività in una strategia nazionale delle risorse umane. Il regista è necessariamente un dirigente con parecchi anni di esperienza alle proprie spalle. Il suo “costo aziendale”, cioè la sua retribuzione complessiva ed i costi connessi, mal si giustifica nella logica di un’azienda globale.

Parte II - L’azienda imprenditoriale

Un discorso a parte meritano invece le società imprenditoriali, che costituiscono una componente importante del panorama industriale italiano. Mi riferisco a quelle realtà sufficientemente grandi da giustificare l’esistenza di un vero reparto di risorse umane e caratterizzate da una proprietà attivamente coinvolta nella gestione dell’azienda. Per dare un ordine di grandezza, la maggior parte delle società italiane private con un fatturato compreso tra i 70 milioni e il miliardo di Euro rientra in questa categoria.

Mentre le grosse multinazionali, complice il “Pensiero Globale”, tendono a diventare sempre più burocratiche e spersonalizzate, le società imprenditoriali si caratterizzano per la forte identità valoriale e per l’importanza attribuita alle capacità individuali dei singoli collaboratori.

In questo tipo di realtà il ruolo del Direttore Risorse Umane ritrova tutto il suo significato. La formazione, la motivazione e l’integrazione del personale diventano fattori cruciali per il successo della società. Anche la gestione delle relazioni sindacali non è più finalizzata ad una mera riduzione del personale; il Direttore Risorse Umane non è il “tagliatore di teste”, bensì la controparte aziendale che negozia con le rappresentanze sindacali soluzioni di compromesso che soddisfino le esigenze di tutti gli stakeholder.

Se è vero che l’azienda privata italiana offre ancora gli spazi per la piena valorizzazione di una direzione risorse umane completa e articolata, è anche vero che solo una perfetta sintonia tra il Direttore Risorse Umane e l’imprenditore può garantire lo sviluppo virtuoso della funzione. In altre parole la relazione tra l’imprenditore ed il Direttore Risorse Umane è la chiave di volta che sorregge, sostiene e amplifica l’efficacia dell’azione del manager.

Questa relazione ha successo quando trascende le mere questioni del personale e si trasforma in un rapporto che si estende a tutte le decisioni aziendali.

Molti manager interpretano in maniera tecnica e meccanicistica il proprio ruolo: “io sono l’esperto di questa materia e vengo pagato per realizzare quello che l’imprenditore non sa fare in questo campo”. Questo modo di porsi, frequente tra i manager, è spesso la premessa del disastro. Il manager che assume questa posizione genera inconsapevolmente un contrasto di natura psicologica. Nessun imprenditore può accettare che un suo collaboratore posso essere più bravo di lui, fosse anche in un campo limitato. Da qui nasce una tensione che porta l’imprenditore ad accumulare inconsapevolmente un progressivo rancore; un rancore che si scarica soltanto dopo l’uscita del manager dall’azienda.

Ma c’è anche un tema più profondo: l’imprenditore non vuole soltanto un collaboratore competente. Cerca innanzitutto e soprattutto un uomo che condivida le sue logiche valoriali. In sintesi: non basta essere bravi, prima condizione necessaria ma non sufficiente; non basta riconoscere la superiorità dell’imprenditore, seconda condizione necessaria; bisogna anche dimostrare di saper condividere i valori aziendali dell’imprenditore.

I direttori risorse umane di maggior successo che io abbia conosciuto hanno saputo uscire dalla dimensione “tecnica” del proprio ruolo. Nel tempo si sono guadagnati la fiducia del loro imprenditore, diventando degli indispensabili consiglieri per tutte le questioni aziendali. Nei fatti hanno progressivamente assunto il ruolo di Direttore Generale, senza tuttavia prenderne il titolo formale. Il successo di questi manager nasce da una combinazione bilanciata di abilità: diplomazia, carisma (non troppo, quanto basta per non creare gelosie nell’imprenditore), moderazione, visione strategica. Ma queste caratteristiche non sarebbero sufficienti senza l’avvallo implicito dell’imprenditore; un avvallo che non viene mai espresso in forma diretta ma che, agli occhi dei dipendenti, trova conferma nel fatto che iniziative promosse non vengano sconfessate dalla proprietà.

Tutto questo presuppone la capacita e la volontà del Direttore Risorse Umane di oltrepassare il proprio ruolo.

Non si tratta di un passaggio scontato.

Molti manager che sono cresciuti nelle risorse umane sono spaventati dall’idea di dover prendere delle decisioni in ambito commerciale, industriale o finanziario. Sono consapevoli di non avere una preparazione specifica in queste materie e sanno che il sostegno dell’imprenditore potrebbe svanire in caso di decisione sbagliata. Eppure questa capacità di prendere decisioni rischiose ma lungimiranti è proprio quello che molti imprenditori cercano nei propri collaboratori. E’ scontato che, in caso di successo, il merito non potrà ricadere che sull’imprenditore. Così come sarà il collaboratore a portare il peso di un eventuale fallimento. In questo meccanismo il Direttore Risorse Umane non può rifiutare di esporsi: non c’è una posizione sicura dietro cui trincerarsi. Anche il temporeggiare finisce con incrinare quel rapporto di fiducia che è alla base del rapporto con l’imprenditore.

Parecchi anni fa ho collaborato con un imprenditore che aveva rilevato un’azienda in difficoltà: Si trattava di una società importante che deteneva una posizione di leadership mondiale nel proprio settore di attività. L’imprenditore, che non conosceva il settore, aveva riconfermato il vecchio management ed era convinto che con l’immissione di nuove risorse finanziarie e con il rilancio dello spirito di squadra sarebbe stato possibile raddrizzare la situazione. A distanza di 18 mesi apparve chiaro come la situazione non solo non migliorasse, ma che stesse addirittura peggiorando. I problemi erano numerosi, ma un’area in particolare destava la più grande preoccupazione: quella commerciale. L’imprenditore mi chiese di partecipare a più riunioni in presenza del Direttore Risorse Umane. Il tema degli incontri era il licenziamento e la sostituzione del Direttore Commerciale della società. L’imprenditore era molto titubante: aveva paura che il Direttore Commerciale potesse portarsi via dei clienti importanti. Ma il vero ostacolo nell’avanzamento del dibattito era il Direttore Risorse Umane. La sua posizione era ambigua: a volte sosteneva la necessità di sostituire il Direttore Commerciale, ma poi avanzava argomentazioni che andavano in direzione assolutamente opposta. Di fatto non voleva esporsi e cercava di temporeggiare. In un incontro privato che ebbi con il Direttore Risorse Umane lo esortai a prendere una posizione esplicita di fronte all’imprenditore. Mi rispose: “non è il mio ruolo decidere della politica commerciale dell’azienda; non voglio prendermi questa responsabilità”. Due settimane dopo fui convocato nuovamente dall’imprenditore, questa volta senza altri testimoni. “Ho bisogno che mi cerchi in via riservata un nuovo Direttore Commerciale ed un nuovo Direttore Risorse Umane”, mi disse, “ho deciso di licenziarli”. Chiesi: “come mai anche il Direttore Risorse Umane?”. La risposta: “è troppo amico con il Direttore Commerciale; inoltre mi costa troppo…”.

Esiste un esempio storico molto interessante che illustra come il rapporto tra il capo-padrone ed il collaboratore-subordinato posa trasformarsi, quando interpretato correttamente, in un circolo virtuoso.

Ritengo che, una volta proiettato in chiave moderna, il rapporto tra Luigi XIII ed il suo primo ministro, il cardinale Richelieu possa fornire dei riferimenti molto utili a qualsiasi Direttore Risorse Umane che operi in una azienda imprenditoriale. Il resto di questo contributo è dedicato a mettere in evidenza quegli spunti che possono aiutare il capo delle risorse umane ad assolvere al meglio la propria funzione all’interno di una società imprenditoriale.

Parte III - Richelieu moderno

La figura di Richelieu è sempre stata circondata da un alone di storie e di leggende che ancora oggi ne deformano la percezione storica. I suoi nemici lo hanno sempre presentato come l’incarnazione del machiavellismo, ed i moschettieri di Alexandre Dumas hanno contribuito a preservare questa immagine, portandola ai giorni nostri.

La realtà storica è alquanto diversa. Richelieu è stato probabilmente il primo vero statista della storia moderna: la sua azione politica ha liberato la Francia dagli ultimi vincoli del feudalesimo; ha posto fine alle minacce interne contro la supremazia della monarchia (fronda cattolica e movimento ugonotto); ha stroncato definitivamente le velleità degli Asburgo di dare vita ad un unico “impero globale”. Ed ha raggiunto questi risultati ricoprendo un ruolo “subalterno”: Richelieu si è sempre considerato un semplice servitore di Luigi XIII. Dio aveva affidato a Luigi XIII non solo il privilegio ma soprattutto il dovere di governare la Francia. La difesa degli interessi della Francia si confondeva quindi con la difesa degli interessi del re, anche quando quest’ultimo non ne era pienamente consapevole. Interpretando pienamente il suo ruolo di “subalterno”, Richelieu non si è mai attribuito il merito dei successi che hanno costellato il regno di Luigi XIII. Ha invece svolto il ruolo di parafulmine, scaricando su sé stesso tutte le rimostranze contro le iniziative francesi ed isolando il re da qualsiasi critica. A distanza di quattro secoli è significativo che la grandezza di questo personaggio storico abbia fatto passare in secondo piano la figura del suo signore Luigi XIII.

Ricollegandomi a quanto ho scritto nel paragrafo precedente, uno degli aspetti che più colpisce nella figura di Richelieu è la sua propensione a prendere posizione. Esporsi era il suo compito, come scrivevo poc’anzi.

Ma la sua “vocazione” ad agire per il bene della Francia lo ha indotto a prendere decisioni controverse e pericolose. Altri personaggi più preoccupati per il proprio futuro politico, avrebbero probabilmente rischiato di meno. Penso, ad esempio, alla decisione di sfidare gli Spagnoli in Italia mentre il grosso dell’esercito francese era impegnato nell’assedio della piazzaforte ugonotta di La Rochelle (guerra di Mantova, occupazione di Casale e conseguente assedio spagnolo). Penso soprattutto alla decisione di partecipare alla Guerra dei Trent’Anni a fianco delle potenze protestanti (un’eresia ed un tradimento ideologico per un paese cattolico come la Francia).

Eppure da queste decisioni sono scaturiti grandi successi, il cui merito è ricaduto interamente …..su Luigi XIII. E’ questo il compito del bravo Direttore Risorse Umane: sostenere l’imprenditore nelle scelte più difficili; prendere decisioni al suo posto se dovesse esitare; ed infine lasciargli tutto il palcoscenico per permettergli di brillare su questi successi.

Tornando a Richelieu, i rischi che il cardinale si assumeva erano sempre calcolati. Audentes fortuna iuvat, certamente! Ma non solo. Il cardinale era costantemente informato sia su quanto stesse accadendo all’interno del paese, sia sulle intenzioni dei nemici. Disponeva infatti di una fitta rete di spie e di informatori in Francia come all’estero. Alcuni erano veri patrioti (francesi), altri erano volgari farabutti pronti a vendersi al miglior offerente; poco importava. Richelieu era comunque il centro verso cui convergeva un flusso ininterrotto di informazioni utilissime. In un’epoca in cui i mezzi di informazione erano ancora lenti ed inaffidabili il cardinale riusciva comunque a mantenere il controllo della situazione; egli era sempre un passo più avanti degli altri. In più di una situazione questa “conoscenza” del mondo circostante ha permesso a Richelieu di valutare i rischi e di prendere quelle decisioni che tanto hanno contribuito alla grandezza della Francia.

La “conoscenza” era un’arma temibile nelle mani di Richelieu; è anche una delle migliori armi di cui possa disporre un Direttore Risorse Umane.

Per cominciare, un bravo Direttore Risorse Umane è sempre a conoscenza di quello che succede nella propria azienda. La vita delle popolazioni aziendali è costellata da rivalità, gelosie, cordate, faide, relazioni segrete, insoddisfazioni, malumori, frustrazioni, ecc. La capacità di raccogliere, intercettare e conservare informazioni riservate all’interno della società è una qualità che caratterizza la professionalità del Direttore Risorse Umane. Apparentemente il Direttore Risorse Umane non è mai al corrente di nulla; in realtà, se è capace, sa sempre tutto!

La raccolta di informazioni all’interno dell’azienda non è l’unica prerogativa del Direttore Risorse Umane. L’uomo delle risorse umane dispone infatti di uno strumento eccezionale per documentarsi anche su quello che succede al di fuori della società: questo strumento è il colloquio di selezione

L’intervista di candidati, qualunque sia la posizione in discussione, apre sempre un ampio spiraglio sul mondo esterno. E’ una fotografia, spassionata, franca e sincera dei concorrenti, delle tendenze del mercato e persino delle proprie debolezze, così come vengono percepite all’esterno. Più spesso si fa ricorso a questo strumento, più vasto è il quadro complessivo che è possibile documentare attraverso queste “fotografie”. Utilizzando con discernimento questo tecnica, il Direttore Risorse Umane riesce a porsi con autorevolezza allo stesso livello degli altri direttori di funzione (direttore commerciale, industriale, finanziario, ecc.). Il resto dipende soltanto dalla sua abilità politica.

Durante il regno di Luigi XIII l’azione di Richelieu si rivelò determinante nel contenere un’altra forma di pericolo e di minaccia: la famiglia reale.

Sostenuta dalle famiglie più oltranziste della nobiltà cattolica la madre di Luigi alimentò per tutta la sua vita fronde ed intrighi per screditare la politica estera francese, nella speranza di ritrovare influenza e potere nel Consiglio Reale.

Parallelamente suo figlio Gastone si mise in più occasioni al servizio degli spagnoli, nel tentativo di spodestare il fratello e di usurpare il titolo reale.

La famiglia è spesso una minaccia anche per l’imprenditore e la sua azienda, anche se non in termini così cruenti come presso la corte reale francese.

E’ cosa nota come le divergenze tra Marina e Piersilvio da una parte (nati dal primo matrimonio di Berlusconi), e Barbara dall’altra (nata dalla relazione tra Berlusconi e Veronica Lario) abbiano contribuito ad ostacolare le attività economiche di Berlusconi. Mentre i primi erano propensi ad intensificare gli investimenti in Mediaset, la seconda spingeva il padre a spostare l’attenzione sul Milan e sulle attività economiche connesse.

Al di là del merito delle questioni, è importante che il Direttore Risorse Umane utilizzi tutta la sua abilità politica per evitare che qualsiasi dissidio interno alla famiglia possa avere conseguenze deleterie sull’azienda. Anche una improvvisa paralisi temporanea del processo decisionale può avere conseguenze molto negative nel clima di forte competizione che caratterizza l’attuale ciclo economico.

In questa prospettiva si sottovaluta troppo facilmente il ruolo che il Direttore Risorse Umane non solo può, ma deve svolgere nell’interesse della società e dei suoi stakeholder. Quasi sempre solo lui può ricomporre gli strappi familiari o, quantomeno, garantire che il timone resti saldamente sotto controllo evitando che la nave-azienda finisca in balia delle correnti.

Per concludere questa panoramica sui pericoli che incombono sulla società padronale, non si può dimenticare la minaccia più grande che un imprenditore di successo si trovi a dover affrontare: sé stesso!

Anche in questo caso è istruttivo ricordare come più volte Richelieu sia intervenuto per proteggere la posizione della Francia nell’interesse del re. Il matrimonio tra Luigi XIII e Anna d’Austria non fu mai considerato un matrimonio “riuscito”. Dopo pochi anni di convivenza i due coniugi si decisero a condurre vite separate: la regina nella reggia ufficiale del Louvre, il re presso la mansione reale di Saint Germain o nel padiglione di caccia di Versailles. Luigi coltivò un circolo di “favorite”, che non ebbero rilevanza per le scelte politiche della monarchia, fino alla comparsa di Louise de la Fayette. Proveniente da una nobile famiglia a forte tradizione cattolica e profondamente influenzata dal suo confessore (segretamente al servizio degli Spagnoli), la nuova fiamma di Luigi XIII cominciò a condurre una campagna di propaganda contro la politica estera del cardinale. La guerra tra Richelieu e la Spagna si era spostata dai campi di battaglia alla reale camera da letto. Richelieu, resosi conto della situazione, riuscì ad allontanare con un sotterfugio il confessore della favorita, facendo in modo che fosse sostituito da un suo uomo di fiducia. Mademoiselle de la Fayette era comunque profondamente cattolica e, sotto l’influenza del nuovo confessore, si pentì di aver “fuorviato” il re in una relazione extra-coniugale. Decise quindi di farsi suora e di ritirarsi in un convento di clausura a Parigi.

Dal punto di vista di Richelieu il problema era stato rimosso.

Luigi XIII non seppe mai quale fosse stato il ruolo del cardinale nella decisione della fanciulla. Se lo avesse saputo, non glielo avrebbe perdonato: addolorato e sconsolato, andò spesso a trovarla nei mesi successivi, trovando conforto chiacchierando con lei attraverso una grata. Solo il tempo avrebbe rimarginato la ferita amorosa.

In una delle sue ultime visite a Louise Luigi XIII fu sorpreso da una improvvisa tempesta di neve. Non potendo rientrare a Versailles, decise di attendere il giorno successivo nella reggia del Louvre. Non c’era nessuna stanza pronta per il re e la regina lo accolse per la notte nella propria camera da letto. Dieci mesi dopo Anna d’Austria dava alla luce un figlio maschio, il suo unico figlio maschio, il futuro Luigi XIV. Per ironia della sorte tutta la vicenda aveva rinforzato la monarchia, garantendo la continuità dinastica dei Borbone-Valois e la stabilità politica della Francia.

Richelieu va anche ricordato per essersi preoccupato di garantire la propria successione. La difesa degli interessi della Francia era diventata la ragione di vita del cardinale. Una decisione così importante come la scelta del proprio successore “non poteva essere lasciata al re”. Tre mesi prima di morire Richelieu fece promettere al re che, dopo la sua scomparsa, avrebbe nominato come successore il cardinale Mazzarino, un ex diplomatico pontificio passato al servizio della Francia. Luigi XIII mantenne la promessa. Mazzarino continuò con vigore la politica di Richelieu e raccolse, con la pace di Vestfalia del 1648, quel successo francese lungamente preparato dal cardinale.

Tornando al nostro mondo, le caratteristiche che oggi definiscono il successo del Direttore Risorse Umane in una azienda imprenditoriale non si discostano eccessivamente dalla relazione che il cardinale Richelieu aveva saputo instaurare con il proprio re. Nel mondo delle aziende imprenditoriali è interessante sottolineare le similitudini nelle dinamiche di relazione tra l’imprenditore ed il Direttore Risorse Umane rispetto al rapporto tra Luigi XIII e Richelieu. L’autorevolezza di questa relazione definisce oggi (e probabilmente anche per gli anni a venire) il vero ruolo del Direttore Risorse Umane nelle aziende a conduzione familiare o semi-familiare.

Dal punto di vista del Direttore Risorse Umane il successo si misura nel grado di autonomia decisionale e, quindi, di fiducia concessa dall’imprenditore. Questo risultato si raggiunge sposando i valori aziendali con lo stesso impegno e con la stessa passione con cui Richelieu si è posto a difesa degli interessi della Francia.

Si potrebbe obiettare che il ruolo che ho appena descritto corrisponda a quello di un Direttore Generale; e che poco avrebbe a che vedere con un Direttore Risorse Umane. C’è un fondo di verità in questa critica. Il Direttore Risorse Umane che ho descritto è “anche” un Direttore Generale. Ma non è “il” Direttore Generale. Il Direttore Generale è un uomo di prima linea: viene assunto e viene pagato per portare risultati, fatturato e profitti. Il Direttore Generale è un “capitano di ventura” che l’imprenditore paga per vincere le battaglie, ben sapendo che sarebbe pronto a cambiare casacca per uno stipendio più consistente.

Al contrario il Direttore Risorse Umane è una figura di continuità che, con la sua presenza, garantisce la stabilità nei momenti di crisi. L’imprenditore non lo percepisce come un mercenario, come invece succede con gli altri dirigenti. Piuttosto, è un consigliere privato, un “confessore”, un uomo che “ascolta” e conforta senza mai rompere il vincolo di riservatezza.

Il Direttore Generale è un uomo sacrificabile; il bravo Direttore Risorse Umane non viene mai licenziato.

In conclusione affiancare un imprenditore in ambito professionale è un impegno estremamente “usurante”, soprattutto dal punto di vista psicologico. Innanzitutto è necessario sapersi adeguare ai suoi tempi, che sono generalmente molto più estesi di quelli di un normale manager pagato a stipendio. Non meno importante è saperlo assecondare nei suoi capricci. Lo dico senza ironia: un imprenditore che ha saputo creare o sviluppare un’azienda, assumendosi rischi, prendendo decisioni e garantendo lavoro non è un uomo come gli altri; merita rispetto. Il suo carattere particolare e capriccioso è proprio quello che lo rende diverso; probabilmente è l’aspetto che ne determina il successo.

C’è infine un ultimo aspetto che viene vissuto con fatica da molti manager: un imprenditore non riconosce mai pubblicamente i meriti dei propri collaboratori; anzi, a volte ne sminuisce deliberatamente il ruolo. Il fatto che un imprenditore non elogi mai i propri collaboratori non significa che non sappia apprezzarne le qualità. Al contrario, è perfettamente consapevole dei meriti di chi gli sta attorno. Un imprenditore premia i propri collaboratori molto più spesso di quanto non si creda. Essendo un imprenditore, lo fa a modo suo; un modo molto particolare, che spesso non viene compreso. Nel 1641 il principe di Condé chiese la mano della tutt’altro che avvenente nipote di Richelieu. L’iniziativa del Condé aveva un duplice obiettivo: stabilire un’alleanza con il collaboratore più fidato del re; e assicurarsi una cospicua fetta delle accumulate ricchezze che il cardinale avrebbe lasciato in eredità. La proposta contraddiceva tutte le regole di unione matrimoniale in vigore presso l’alta nobiltà francese ed europea: il monarca avrebbe dovuto porre il proprio veto. Invece il futuro vincitore della battaglia di Rocroi ottenne il tacito consenso del re. Anzi, sembra che Luigi abbia operato con zelo dietro le quinte per assicurarsi che il matrimonio avesse luogo.

Quale migliore riconoscimento si sarebbe potuto offrire a un modesto ed irrilevante nobile di provincia (questo era Richelieu agli occhi del monarca) del farlo imparentare con la famiglia reale?

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